A seguito dell’invasione dell’Ucraina, la Russia è stata esclusa dalla rete SWIFT. È la prima volta che questo si verifica per un paese così importante (era successo in passato per l’Iran). Già a seguito della crisi della Crimea nel 2014 si era paventata questa ipotesi, ma nei fatti ciò non era avvenuto. All’epoca la Russia non aveva sistemi di pagamento alternativi e la sanzione sarebbe stata ancora più severa di oggi. Anche a seguito di quell’episodio la Russia ha cercato di sviluppare un proprio sistema interno di pagamenti che si chiama MIR e che gestisce il 25% degli scambi con carte nel paese. In parallelo è stato sviluppato un sistema di comunicazione interbancaria analogo allo Swift: SPFS (system of transfer of financial messages) che però opera prevalentemente in Russia. Alla fine del 2020 appena 23 banche straniere erano entrate nel sistema. Se la Russia pare quindi in grado di poter gestire le transazioni interne al paese con un proprio sistema, diverso è per le transazioni con l’estero.
Lo SWIFT è un consorzio di banche con sede a Bruxelles, il suo network permette alle istituzioni finanziarie che ne fanno parte di inviare e ricevere informazioni riguardo le transazioni in maniera altamente sicura. Oltre la metà delle transazioni transfrontaliere mondiali sono gestite da questo network.
La sede dello SWIFT è a Bruxelles e questo costituisce senza dubbio un formidabile strumento di pressione politica che può essere utilizzato dai paesi che sono in grado di influenzarlo. Questa è stata una delle ragioni che hanno spinto anche la Cina a cercare di sviluppare un sistema di pagamenti alternativo: il CIPS (Cross- Border interbank payment system), che non è un consorzio di banche ma è gestito direttamente dalla Banca centrale cinese. Nella realtà il CIPS non è solo un sistema di pagamento, ma è una vera e propria struttura finanziaria, che funziona dal 2015, e che gestisce non solo un flusso di informazioni sulle transazioni finanziarie (come lo SWIFT), ma agisce anche da camera di compensazione, cioè offre servizi di clearing e settlement, facendo in modo che le operazioni finanziarie vadano a buon fine attraverso la verifica della disponibilità finanziaria dei contraenti e può fare questo perché detiene i conti dedicati delle banche che aderiscono direttamente al sistema (cosiddetti partecipanti diretti).
Attualmente il CIPS conta 75 partecipanti diretti e 1205 partecipanti indiretti (che accedono al sistema attraverso le banche che partecipano direttamente). Nel 2016 è stato fatto un accordo con la società che gestisce lo SWIFT per permettere le comunicazioni riguardo le transazioni effettuate tra i due sistemi.
È importante notare che il CIPS rimane un sistema con una valenza regionale, dato che gestisce transazioni effettuate in Yuan. Se quindi il sistema può essere una alternativa per la Russia nella gestione delle transazioni con la Cina, l’efficacia delle sanzioni rimarrà per quanto riguarda le transazioni con altri paesi e soprattutto gestite con altre valute diverse dallo Yuan. Può essere utile a comprendere meglio le reali dimensioni del CIPS confrontare il numero di transazioni medie giornaliere dichiarate (14.000) con quelle dello SWIFT (42 milioni).
È proprio il tema valutario, crediamo, lo snodo cruciale per comprendere non tanto quello che sta succedendo, ma soprattutto quello che potrebbe succedere in futuro. Il tentativo della Cina di creare un suo sistema di pagamenti va di pari passo con il tentativo di allargare l’utilizzo della propria valuta. Tentativo che se è in parte riuscito per quanto riguarda gli scambi con la madrepatria (attualmente il 20% degli scambi con la Cina sono effettuati in Yuan, gli altri prevalentemente in dollari), non si può dire altrettanto per quanto riguarda il respiro globale di questa valuta, in cui vengono gestiti poco più del 2% dei commerci globali e che occupa nelle riserve mondiali appena una simile percentuale. La possibilità di estendere un sistema di pagamenti alternativo a quello in corso non può che essere trainata dalla valuta attorno a cui ruota il sistema stesso. Il problema per la Cina è che la scelta politica effettuata (e cioè il controllo dei capitali e la non convertibilità della propria valuta), rendono molto complessa questa operazione, dato che rimane difficile che una valuta scambiata quasi esclusivamente nel paese che la emette e la cui circolazione è limitata da autorizzazione governativa, possa diventare internazionale, ne abbiamo parlato diffusamente qui: https://www.dirittofuturo.org/?p=1114
Quanto detto chiarisce quelli che sono i margini di manovra, sotto questo fronte, degli attori in campo. La Russia non ne ha, dato che detiene una valuta molto debole e senza alcuna possibilità di diffusione internazionale (la discesa del 30% del suo cambio sul dollaro nel giorno successivo l’annuncio delle sanzioni ne è una discreta prova) e una prolungata estromissione dal circuito di dollari ed euro la costringerebbe ad appoggiarsi al sistema cinese che pur ha dei grossi limiti in quanto a diffusione internazionale (lo abbiamo visto sopra). In merito alla Cina, crediamo che stante i suoi obiettivi di crescita e di riequilibrio economico interno, difficilmente cercherà di creare frizioni che possano costringerla ad accelerare un processo (quello della creazione di un’area di influenza finanziaria e valutaria alternativa) in maniera troppo rapida, dato che il suo sistema finanziario (in modo particolare quello bancario) non è ancora pronto per tale passo. Ciò non impedisce che il tentativo di ulteriore internazionalizzazione dello Yuan continui e la crisi in atto potrebbe accelerarne il processo.
Per un approfondimento sul sistema economico e finanziario della Cina vi rimandiamo al nostro report sul sistema finanziario internazionale n° 9, che trovate qui: https://www.dirittofuturo.org/?page_id=137