MERCATO DEL LAVORO – IL RUOLO DEGLI IMMIGRATI NEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO

L’economia mondiale sta attraversando una fase di grande incertezza causata da guerre e tensioni geopolitiche, inflazione e situazioni di rischio. Come conseguenza si registra un rallentamento generalizzato della crescita con ovvie ripercussioni sul mercato del lavoro, che appare caratterizzato da povertà lavorativa, ampi divari di genere, grandi difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e un elevato numero di lavoratori scoraggiati.
In Italia, nonostante la situazione di quasi stagnazione del PIL, aumenta l’occupazione, ma cresce il lavoro povero e i salari non riescono a tenere il passo con l’inflazione.

Un ruolo fondamentale nel mercato del lavoro italiano riveste la presenza dei 2,4 milioni di lavoratori stranieri, che contribuiscono al 9% del PIL e a un saldo fiscale positivo pari a 1,8 miliardi, nonostante il reddito medio degli immigrati sia nettamente inferiore a quello degli autoctoni e le loro condizioni lavorative siano mediamente peggiori di quelle degli italiani.

Sono questi alcuni dei temi che abbiamo affrontato nel nostro ultimo report sul Mercato del lavoro. Ne abbiamo parlato con Lia Fubini, esperta di Mercato del lavoro, che ne è l’autrice.

Qui di seguito trovate il link del video “Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano” della rubrica Mercato del lavoro:

Per maggiori approfondimenti sulle tematiche analizzate dalla nostra esperta Lia Fubini, vi invitiamo a visionare l’ultimo report, il n° 7, sull’Osservatorio del Mercato del lavoro dell’Associazione Diritto al Futuro:

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CONDIZIONI PEGGIORI ANCHE A PARITA’ DI MANSIONE: LA SITUAZIONE LAVORATIVA DEGLI IMMIGRATI

Le condizioni di lavoro degli immigrati rispetto agli italiani sono peggiori. Hanno salari più bassi, anche a parità di mansione, hanno contratti a termine e part time in misura maggiore degli italiani.

La percentuale di lavoratori poveri, pari a circa il 10% fra gli italiani, è particolarmente elevata: sono a rischio povertà oltre il 20% degli stranieri comunitari e oltre il 30% degli extracomunitari.

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L’ELEVATO TITOLO DI STUDIO DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA NON BASTA

Gli immigrati svolgono prevalentemente lavori non qualificati e, anche quando hanno elevati titoli di studio, difficilmente trovano un lavoro adeguato alle loro competenze.

Inoltre, essi sono quasi assenti nei comparti che richiedono un’elevata percentuale di personale qualificato, quali i settori bancario e assicurativo e la pubblica amministrazione.

La condizione dei lavoratori stranieri non migliora in modo significativo con gli anni di permanenza in Italia o l’anzianità lavorativa, a differenza di quanto accade nei principali paesi UE.

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IL SALDO FISCALE DEGLI IMMIGRATI È POSITIVO

Nonostante il reddito medio degli immigrati sia nettamente inferiore rispetto a quello degli italiani, secondo i dati forniti dalla fondazione Leone Moressa relativi all’anno 2021, il saldo fiscale della popolazione immigrata è positivo ed è pari a 1,8 miliardi.

Gli immigrati infatti utilizzano meno degli autoctoni i servizi pubblici.

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ALTO TASSO DI OCCUPAZIONE PER GLI STRANIERI, UN DATO INSOLITO NELL’UE

Il tasso di disoccupazione degli immigrati è del 12%, nettamente più alto del tasso di disoccupazione degli italiani che è pari al 7,6%. Invece, il tasso di occupazione è più alto per gli stranieri, un dato insolito e unico nell’UE. Ciò dipende da due fattori: gli immigrati sono mediamente più giovani della popolazione autoctona ed il tasso di occupazione degli italiani è particolarmente basso, il più basso fra tutti i paesi dell’Unione Europea.

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GLI IMMIGRATI VERSANO AL FISCO PIÙ DI QUANTO RICEVONO DALLO STATO ITALIANO IN TERMINI DI SERVIZI E WELFARE

Il reddito pro-capite degli immigrati è nettamente inferiore a quello degli italiani. Tuttavia, secondo i calcoli della Fondazione Leone Moressa relativi al 2021, il saldo fiscale della popolazione immigrata è positivo e pari a 1,8 miliardi. Gli immigrati, infatti, sono mediamente più giovani degli italiani e hanno un basso impatto sulle principali voci di spesa dello Stato, come sanità e pensioni.

Rapporto Costi/Benefici dell’immigrazione per il bilancio dello Stato. Stima delle entrate e delle uscite dovute alla presenza straniera, costo medio, anno 2021.
Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati MEF – Dipartimento delle Finanze, ISTAT e fonti varie.
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LA POPOLAZIONE STRANIERA SI REDISTRIBUISCE IN MODO DISEGUALE FRA I PAESI EUROPEI

L’incidenza della popolazione straniera sulla popolazione totale residente nell’Unione Europea, al primo gennaio 2022, era pari all’8,5% della popolazione totale. In Italia tale percentuale è esattamente in linea con la media europea; infatti, anche nel nostro Paese la percentuale di stranieri residenti si aggira intorno all’8,5%. Tuttavia, fra i Paesi dell’UE esistono enormi differenze in termini di proporzione tra residenti stranieri e non. È il caso del Lussemburgo che conta il 47,1% di stranieri residenti sul territorio, una percentuale piuttosto elevata e diametralmente opposto rispetto ai dati della Lituania con solo lo 0,1%.


Popolazione straniera residente: livelli e incidenza percentuale nei 15 Paesi Ue con la maggiore presenza in termini assoluti di cittadini stranieri. Valori assoluti (scala di sinistra, chiave di ordinamento) e percentuale sulla popolazione residente (scala di destra) al 1° gennaio 2022. Fonte: XIII rapporto annuale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, a cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, elaborazioni.
Applicazioni Data Science – Direzione Studi e Ricerche di Anpal Servizi su dati EUROSTAT.

Nel gennaio 2023 la popolazione straniera residente in Italia era di circa 5 milioni. Un numero che tra il 2010 e il 2023 è cresciuto di 1,2 milioni, compensando solo parzialmente il drammatico calo demografico, che secondo l’Istat è destinato ad accentuarsi, della popolazione italiana, diminuita di 2 milioni negli ultimi 13 anni.

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COME SI DISTRIBUISCONO LE DIVERSE NAZIONALITÀ DEI LAVORATORI IMMIGRATI TRA SETTORI PRODUTTIVO IN ITALIA

Le caratteristiche dell’occupazione e le specializzazioni settoriali mostrano una notevole variabilità sulla base della nazionalità e dei lavoratori. Se guardiamo alle 10 cittadinanze più numerose (cfr. figura), notiamo, ad esempio, che fra i cinesi c’è una forte percentuale di lavoratori autonomi(43,2%), che i lavoratori bangladesi sono presenti soprattutto nel settore degli alberghi e ristorazione, che gli albanesi sono principalmente impiegati nelle costruzioni e nell’industria in senso stretto.

Caratteristiche dell’occupazione per principali cittadinanze straniere, Italia, composizioni percentuali, 2022. Fonte: Caritas, dossier statistico immigrazione 2023 su dati Istat
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SONO I LAVORATORI IMMIGRATI I PIÙ ESPOSTI ALLA PRECARIETÀ

Gli immigrati regolari in Italia sono occupati più dei lavoratori autoctoni con contratti atipici. Un terzo dei lavoratori stranieri ha un contratto non standard, a termine e/o in part-time involontario, a fronte del 19,6% degli italiani.

La quota di part-time involontario fra gli stranieri è pari al 17,9%, quasi il doppio rispetto agli italiani (9,4%), e coinvolge soprattutto le donne (27,9% le straniere e il 15,2% le italiane). Il part-time involontario coinvolge il 10,7% degli uomini stranieri e il 5,1% degli italiani. Mentre per gli italiani al crescere del livello di istruzione il part-time involontario diminuisce dal 12,0% per chi ha al massimo la licenza media al 5,9% per i laureati, per gli stranieri l’incidenza del part-time
involontario rimane quasi stabile, scende infatti solo dal 18,3% al 16,2%.

Gli immigrati sono impiegati con contratti temporanei più dei nativi: nel 2021 il 20% dei lavoratori immigrati (e il 13% dei nativi) aveva un contratto temporaneo. Anche negli altri paesi europei i contratti temporanei sono diffusi più fra gli immigrati che fra i nativi, ma, a differenza degli altri paesi UE, in Italia i contratti temporanei per gli immigrati sono in aumento (5 punti percentuali nell’ultimo decennio) mentre negli altri paesi UE la percentuale di contratti temporanei degli stranieri è in calo.

La condizione più sfavorevole riguarda le donne: oltre 40,7% delle straniere ha un contratto non standard rispetto al 26,3% delle italiane. La situazione è migliore fra gli uomini, ma il divario rispetto ai nativi rimane elevato: il 28,3% degli stranieri ha un contratto non standard rispetto al 14,8% degli italiani.

La situazione di precarietà degli stranieri nel mercato del lavoro si è manifestata chiaramente nel 2020 con la pandemia del Covid-19, quando il numero di occupati italiani è diminuito dell‘1,4% e quello degli stranieri del 6,4%.

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L’IMPORTANTE CONTRIBUTO DELL’IMMIGRAZIONE AL PIL NAZIONALE NONOSTANTE IL SISTEMATICO SOTTOUTILIZZO DELLE COMPETENZE DEGLI IMMIGRATI

Sono oltre 2,3 milioni gli occupati immigrati in Italia (10,3% del totale) e il lavoro degli immigrati contribuisce al PIL italiano per oltre il 9%, con picchi superiori al 14% in agricoltura e nell’edilizia.
Dopo la pandemia che ha penalizzato in particolar modo gli immigrati e, fra questi, soprattutto le donne, l’occupazione degli immigrati ha registrato una netta ripresa. Permangono tuttavia notevoli criticità.


L’Italia richiede soprattutto manodopera scarsamente qualificata”, infatti impiega lavoratori stranieri istruiti e qualificati in lavori dequalificati, penalizzando soprattutto (e pesantemente) le donne straniere. Gli immigrati con basso livello di istruzione hanno lavori mal retribuiti e precari, spesso stagionali. Gli immigrati con istruzione terziaria spesso vengono impiegati al di sotto del loro livello di qualifica. Il 33,1% degli stranieri svolge un lavoro che richiederebbe un livello d’istruzione più basso di quello posseduto a fronte del 25,2% degli italiani; in particolare la quota delle donne sovra istruite è del 42,2% contro il 26,5% delle italiane, mentre tra gli uomini i valori sono più vicini a quelli degli autoctoni: 26,6% di sovra istruiti fra gli stranieri contro il 24,2% fra gli italiani. In Italia, gli stranieri con istruzione terziaria hanno meno probabilità di essere occupati rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea. Nel 2021, il tasso di occupazione degli immigrati con istruzione terziaria è stato del 69%, ben 17 punti percentuali meno dei loro coetanei nativi, si tratta della più grande differenza all’interno dei paesi OCSE.

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