PERCHE’ LE AZIENDE QUOTATE STANNO FACENDO SEMPRE PIU’ UTILI?

L’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria globale del Fondo Monetario Internazionale ci fornisce lo spunto per un’analisi di quello che sta succedendo nel mercato azionario.

Nella figura qui sopra è evidenziato l’andamento dei guadagni delle aziende quotate in diverse parti del mondo dal periodo precedente la pandemia ad oggi. L’indicatore utilizzato (il “forward earnings per share ratio” a 12 mesi) indica gli utili netti aziendali per azione, questi sono però calcolati avendo in mente ciò che è atteso dagli analisti nei successivi 12 mesi.  Si tratta quindi di una stima e non di un dato attuale. È comunque importante evidenziare come nelle ultime trimestrali la gran parte dei risultati delle aziende delle economie avanzate (e non solo del settore tecnologico) siano stati in crescita, battendo le previsioni degli analisti e a guardare tale grafico (“forward”) non solo gli utili sono superiori al periodo precedente la pandemia, ma nei prossimi mesi dovrebbero ulteriormente crescere.   È altrettanto interessante notare come il rapporto tra il prezzo delle azioni e i medesimi guadagni attesi (il cosiddetto forward price-to-earning ratio) sia in diminuzione nonostante la crescita dei prezzi del mercato azionario. La figura qui sotto ci mostra l’andamento in discesa dell’indicatore per i principali settori da inizio anno, nonostante i prezzi delle azioni nel medesimo periodo siano saliti, a livello globale, del 20% (indice MSCI World).

Insomma, pare che nonostante in mezzo ci sia stata una pandemia ed una recessione (anomala e breve, ma molto severa) le aziende siano, dopo meno di due anni, diventate mediamente più redditive di prima.

Quello su cui qui ci vogliamo interrogare non è quindi il motivo per cui il mercato azionario stia salendo, ma quello per cui le aziende facciano più utili rispetto al periodo pre pandemico (lo abbiamo visto nel primo grafico), e ne fanno talmente tanti che il loro rendimento atteso è previsto in crescita, nonostante il mercato azionario sia da molti considerato ormai in piena bolla speculativa.

Che cosa è successo? Si sono verificati a seguito di questa crisi cambiamenti strutturali, che quindi saranno duraturi, tali da garantire alle aziende maggiori utili per il futuro e tali da giustificare almeno in parte i prezzi delle azioni?

Se provare a dare una risposta esaustiva è ora probabilmente impossibile e richiederebbe una analisi molto più approfondita, possiamo però cercare di elencare i fattori che potrebbero aver contribuito, almeno sino ad ora, al fenomeno.

Da un lato per il mercato dei titoli tecnologici la crescita degli utili è sicuramente legata ai pesanti effetti che la pandemia ha avuto sulle abitudini delle persone nel tempo libero e nel lavoro. È forse questo anche il risultato più duraturo e che difficilmente potrà cambiare quando la pandemia sarà definitivamente alle nostre spalle.

Meno stabile appare invece il secondo fenomeno, che riguarda i risultati delle aziende del settore energetico, i cui utili sono saliti (e sono previsti in ulteriore ascesa) a seguito della crescita dei prezzi delle materie prime. Il prezzo del petrolio, che si trovava agli inizi di marzo 2020 a 46 dollari, è oggi di 81 dollari, mentre il gas naturale nello stesso periodo ha più che triplicato il suo valore. Difficile dire quanto durerà tutto questo, ma è molto probabile che l’impennata dei prezzi dei beni energetici e in generale delle materie prime (tra le principali responsabili della salita dell’inflazione), sia legata allo shock di domanda che ha seguito la ripresa post pandemica e quindi destinato a ridimensionarsi. Ne abbiamo parlato nel nostro ultimo report https://www.dirittofuturo.org/wp-content/uploads/2021/10/Rapporto-OSFI-12-Settembre-2021-2.pdf

Gli altri due fenomeni sono, almeno in parte, di natura finanziaria e legati alla fortissima (e ulteriore) crescita di liquidità che si è avuta a seguito della crisi covid a partire dal marzo 2020, come si può vedere nella figura qui sotto, che mostra la crescita dei bilanci delle principali banche centrali.  

Se è difficile stimare quanto abbiano realmente pesato sulla salita dei mercati azionari i buybacks, è certo che il primo effetto dei riacquisti di azioni da parte delle aziende quotate è proprio quello di accrescere gli utili per azione, a discapito degli investimenti. È altrettanto certo che la grande massa di liquidità disponibile grazie alle mosse delle banche centrali abbia favorito questo fenomeno che se si era quasi spento nel 2020 (anche per i divieti che alcuni stati avevano emanato), sta per raggiungere i massimi storici nell’anno in corso, come mostrato nella figura qui sotto.

Per ultimo, ma non meno importante (anzi, probabilmente determinante per comprendere cosa potrà succedere in futuro), è necessario prendere in considerazione quello che è successo sul fronte della spesa pubblica che è stata alimentata e “finanziata” proprio dall’espansione monetaria attuata dalle banche centrali. A seguito della crisi pandemica, non solo è cresciuta la liquidità in circolazione, come mostra il grafico qui sotto riguardo la componente di moneta M1 (contanti e depositi bancari) in USA, ma tale liquidità in molti casi è stata indirizzata direttamente alle famiglie e alle imprese, tramite vari piani di trasferimenti unilaterali e indennità di disoccupazione (specie in USA). Il risultato è stata una impennata dei debiti sovrani di tutte le principali economie avanzate. Debito che in USA è passato dal 108% sul PIL all’attuale 125% e nella zona euro dall’83,9% all’attuale 100%. Da nessuna parte come nella zona euro l’intervento della BCE è stato indispensabile non solo per finanziare, ma soprattutto per garantire (con i suoi acquisti e il mantenimento a zero dei tassi) l’emissione di ulteriore debito dei paesi più fragili sotto il profilo delle finanze pubbliche, paesi che hanno raggiunto livelli di indebitamento rispetto al PIL senza precedenti nel dopoguerra: Grecia: 209% (era a 180,5%), Italia: 160% (era a 134,6%), Portogallo 137% (era a 116,8%), Spagna: 125,2% (era a 95,5%).

Andamento dell’offerta di moneta M1.
Fonte: Tradingeconomics.com

È evidente che tutti questi interventi possano avere influenzato i consumi e la crescita economica (e quindi gli utili aziendali), creando però una situazione anomala per la sua dimensione, ma che allo stesso modo si stiano andando spegnendo con il ritorno alla normalità. In quale misura il venir meno di questi interventi esterni peserà sugli utili aziendali (oltre che sulla crescita del PIL) è l’aspetto più importante di cui ci porterà a conoscenza solo il futuro e ci dirà se le previsioni degli analisti sono corrette. Cercando di dimenticare per un attimo quelli che comunque saranno gli effetti del possibile progressivo rialzo dei tassi di interesse, è solo grazie a tali previsioni, infatti, che ora i price earning “forward” sono, nonostante tutto, in calo, giustificando (almeno in parte), la corsa agli acquisti di tutto ciò che è a disposizione sui mercati azionari.

Clicca per votare questo articolo!
[Total: 5 Average: 5]

Lascia un commento