Il bilancio di una banca centrale è costituito, oltre che dalle riserve in valuta estera e in oro, principalmente dai titoli obbligazionari acquistati. Gli acquisti di titoli obbligazionari quindi, da un lato iniettano nel sistema finanziario nuova liquidità monetaria e dall’altro fanno crescere il bilancio della banca centrale.
Nel settembre del 2008 il bilancio della Federal Reserve (il cui andamento è mostrato in figura) era di 900 miliardi di dollari, pari al 5% del suo PIL. Mentre scriviamo questo articolo il medesimo bilancio è pari a 8500 miliardi, il 37% del PIL del paese.
Dal settembre del 2008 (punto 1 in figura), a seguito della crisi legata ai mutui subprime, al fallimento di Lehman Brothers e di altre banche e alla successiva recessione, la Federal Reserve iniziò a far lievitare il suo bilancio e varò la politica di allentamento monetario quantitativo (quantitative easing) che fornì al sistema liquidità e finanziò il governo a fronte dell’ingente crescita della spesa pubblica per superare la crisi. Gli acquisti erano costituiti infatti prevalentemente da titoli del tesoro e da Mortgage-Backed Securities, cioè titoli di debito che avevano come collaterale di garanzia mutui immobiliari (alcuni dei quali subprime) che erano stati anche l’origine della crisi finanziaria. Questo processo durò sino al 2013 (punto 2 in figura), anno in cui la crescita del bilancio iniziò a rallentare, a seguito del progressivo processo di riduzione degli acquisti (cosiddetto tapering). Al temine del tapering il bilancio smette di crescere (punto 3), senza scendere, dato che in realtà gli acuisti continuano per quello che riguarda i titoli in essere in portafoglio che vengono rinnovati a mano a mano che vanno in scadenza. È solo nella fase successiva, a partire dalla fine del 2017 (punto 4), che la Banca inizia a non rinnovare i titoli in scadenza, questo processo di chiama “tightening”, cioè stretta monetaria e solo da questa fase il bilancio della banca inizia a ridursi (e quindi, di converso, si riduce la liquidità nel sistema).
Il tightening durò sino al settembre del 2019 (punto 5). In quel periodo si creò una situazione di crisi sui mercati REPO (di cui abbiamo offerto un dettaglio qui https://www.dirittofuturo.org/wp-content/uploads/2020/04/OSFI_Scenario_di_finanza_internazionale_n_5_dicembre_2019.pdf ) che portò i tassi interbancari a picchi del 10% (a fronte dell’1,8% normalmente scambiato allora) che mostrarono come il sistema bancario iniziasse ad avere carenza di liquidità a breve per finanziare la massa crescente di debito che si era creato in diverse forme. E’ proprio in quei mesi che in realtà il bilancio della banca centrale ricominciò a crescere a seguito del fatto che la Fed fu costretta (oltre che a intervenire sul mercato interbancario con acquisti overnight) a compare titoli a breve scadenza (da 5 a 52 settimane), con un programma che (si diceva all’epoca) sarebbe stato sospeso a metà 2020 e, si cautelava la Fed, non era un nuovo QE, ma solo una misura “temporanea” che sarebbe durata sino a che il mercato interbancario non si fosse stabilizzato.
Questo episodio, che non ha avuto grande rilevanza mediatica, è in realtà significativo delle difficoltà che il sistema, già allora, aveva incontrato di fronte alla diminuzione della liquidità in circolazione e costretto la Federal Reserve a tornare sui suoi passi ricominciando a iniettare liquidità. Questo “ripensamento” della Fed non fu in realtà il primo, dato che all’inizio dello stesso 2019 Powell era dovuto ritornare sui suoi passi riguardo il rialzo dei tassi di interesse che nel dicembre del 2018 erano arrivati a toccare il 2,5% provocando uno storno del 20% dei mercati azionari (oltre che minacce di “licenziamento” da parte dell’allora Presidente Trump). Dal mese di gennaio Powell e la Fed avevano quindi iniziato a gettare acqua sul fuoco e partendo da una previsione di rialzo dei tassi sino al 3,5% entro il 2019, si era nei fatti ricominciato ad abbassarli rapidamente sino alla vigilia della crisi Covid, quando si sarebbero trovati a 1,75% (nel frattempo le borse, a fronte di queste “buone notizie”, avevano ovviamente ripreso a salire).
Quello che è successo dopo (punto 6) è ormai storia recente, con una ripresa del quantitative easing per un ammontare di 120 miliardi al mese (80 in titoli governativi e 40 in mortgage backed securities) che hanno portato il bilancio Fed ai livelli a cui si trova ora. Tali acquisti inizieranno ad essere ridotti (quindi con l’inizio della fase del tapering) dal mese di novembre 2021, per arrivare a metà 2022 ad azzerarli. A quel punto (come già successo in passato) la Federal Reserve si troverà nella situazione di dover decidere quando iniziare il “tightening”, non rinnovando i titoli in scadenza e “cercando” di ridurre il suo bilancio. Quali saranno gli esiti lo potremo scoprire solo nel futuro, questo breve excursus storico non può però che far riflettere sul fatto che non sarà semplice, a tal proposito trovate qui sotto l’andamento del debito mondiale in questi anni.
