Nell’ultimo report del nostro Osservatorio di Finanza Internazionale avevamo stimato il 3% come il valore limite di inflazione che a nostro parere poteva essere accettato dalla Federal Reserve senza modificare la strategia di politica monetaria che, stando alle ultime dichiarazioni di intenti del FOMC, dovrebbe per ora escludere rialzi dei tassi sino a tutto il 2023.
Il dato di ieri, molto atteso, che la prevedeva al 2,3%, ha rilevato proprio il valore (anno su anno) del 3% riguardo l’inflazione core (cioè quella depurata degli elementi più volatili come gli alimentari e l’energia), numeri che non si vedevano dai primi anni ’90. Se il dato è in sé significativo, per il momento non pare ancora sufficiente a modificare le politiche monetarie della Banca Centrale USA che già nell’agosto del 2020 si era preventivamente “premunita” da possibili escursioni “temporanee” dei prezzi del periodo post-pandemico, modificando il proprio target di rialzo dei prezzi da fisso a medio. Ne avevamo già parlato qui:
https://www.dirittofuturo.org/wp-content/uploads/2020/10/Rapporto-OSFI-8-Settembre-2020.pdf
In pratica, la Fed si dice ora disponibile ad accettare escursioni temporanee dei prezzi superiori al 2%, dato che la sua valutazione verrà effettuata sulla media e non su valori puntuali come quelli che si sono registrati ora e che potrebbero continuare ancora per un po’ al di sopra del target stesso. È bene comunque ricordare che il target del 2% utilizzato dalla Fed non si riferisce all’indicatore i cui dati sono stati rilasciati ieri, cioè il CPI (consumer price index), ma al PCE (personal consumption expenditure cioè spese di consumo personale) che per il modo in cui è calcolato è generalmente un po’ più basso e il cui dato sarà rilasciato a fine mese.
Se avevamo già all’epoca sottolineato l’importanza del cambio di strategia della Fed riguardo l’inflazione e che ciò sarebbe tornato molto utile nel prevedibile futuro, quel futuro può dirsi ora arrivato. Allora la Fed non indicò il reale significato del concetto di inflazione “media” e questo le permette adesso di poter agire con maggiore libertà senza sentirsi ancora vincolata ad alcuna mossa nel futuro più prossimo. È evidente però che quello che la Federal Reserve non può permettere è che la salita dei prezzi sopra il 3% si protragga troppo a lungo e che soprattutto sfugga di mano. Se ciò avvenisse le mosse inevitabili sarebbero prima una rapida riduzione degli acquisti di titoli (quantitative easing) che stanno continuando al ritmo di 120 miliardi al mese e poi un anticipo della risalita dei tassi rispetto al finora previsto 2024. Tenere d’occhio l’inflazione diventa quindi da ora in poi sempre più importante, sia per chi tiene al destino del mercato azionario, ma soprattutto avendo in mente la massa di debito a grosso rischio (high yield) che in questi anni è stato contratto da aziende che solo grazie ai tassi bassi sono riuscite in questo ultimo anno a rimanere in piedi.
Per un approfondimento di questi temi e dei possibili scenari di quest’anno legati all’inflazione potete fare riferimento al nostro ultimo report qui:
https://www.dirittofuturo.org/wp-content/uploads/2021/04/Rapporto-OSFI-10-Marzo-2021.pdf