Se nel valutare l’effetto della pandemia sul mercato degli immobili ci si limitasse a prendere in considerazione quelli residenziali, nulla sembrerebbe successo, anzi, guardando sia all’Europa, sia in particolare agli USA, i prezzi medi delle abitazioni hanno continuato a salire nel 2020. Come mostrato nei grafici qui sotto i prezzi in Europa sono mediamente aumentati del 5%, seppur è importante notare le differenze tra paesi, con prezzi sostanzialmente stabili in alcuni casi (come Italia e Spagna) e altri che continuano nella salita degli anni precedenti intorno al 10% (come Germania e Olanda).
Ancora più marcato il trend dei prezzi in USA in cui si è tornati ad una salita del 10% annuo, incrementi che non si vedevano dal 2014, accompagnati peraltro da un picco anche nella vendita di nuove case.


Ben diversa invece la situazione che offre il settore degli immobili commerciali che è stato oggetto di analisi da parte dell’ultimo report di stabilità finanziaria globale del FMI.
Come mostrato nel grafico qui sotto, se i prezzi degli immobili industriali non hanno risentito della pandemia in Europa e USA, l’effetto su quelli adibiti ad ufficio e soprattutto quelli relativi alla vendita al dettaglio è stato sin qui piuttosto pesante, con cali dei prezzi, per questi ultimi, tra il 25% e il 20%.

Meno marcati per ora gli effetti sui prezzi degli immobili adibiti ad ufficio (che se in USA sono scesi poco meno del 10%, in Europa sono rimasti sostanzialmente stabili).
Oltre che sui prezzi l’effetto è stato ancor più marcato sul numero di compravendite e in questo caso ha riguardato tutti i settori e aree geografiche, come mostrato nella figura qui sotto, con cali del numero di transazioni nel settore turistico (Hotel) e retail (vendita al dettaglio) che ha raggiunto in alcune parti del mondo picchi tra il 60% e l’80%.

Difficile dire se tale tendenza sia destinata a rientrare al termine della pandemia, anche se tutte le informazioni che sin qui sono state raccolte riguardo il ricorso allo smart working e le intenzioni delle aziende in proposito da un lato e sulla crisi degli esercizi di vendita al dettaglio dall’altro, fanno pensare che l’epidemia di covid più che aver definito una soluzione di continuità rispetto al passato, abbia accelerato una tendenza, che riguarda le abitudini di acquisto e le modalità di lavoro, che era in divenire già prima e destinata a non interrompersi in seguito.
Tra i temi oggetto di analisi del report del FMI c’è però anche quello immediato sull’economia a seguito di una crisi debitoria che potrebbe derivare da un calo così marcato dei prezzi. Nel grafico qui sotto è mostrato l’andamento dei tassi di insolvenza (delinquency rate), quindi di ritardi nei pagamenti, riguardo il debito contratto per l’acquisto di immobili commerciali in USA, sia sotto forma di prestiti, sia di MBS (mortgage backed securities). Come si può vedere i tassi di insolvenza nel 2020 hanno superato i picchi del 2009 (che erano seguiti alla crisi dei mutui subprime).

I Mortgage Backed Security (MBS) sono titoli di debito emessi dalle banche per finanziarsi rivendendo i mutui ed immettendoli sul mercato sotto forma di titoli obbligazionari. Avendo come collaterale di garanzia i mutui stessi contratti dai clienti per acquistare immobili (commerciali in questo caso), se le rate non vengono pagate ciò impatta sul pagamento delle cedole degli MBS stessi. Il calo dei prezzi degli immobili, soprattutto, limita per le banche la possibilità di recuperare il denaro rispetto a colui che ha contratto il prestito e che si dimostrasse in ultima istanza impossibilitato a pagare. Il meccanismo è il medesimo che avviò la crisi dei mutui subprime (che riguardò però in buona misura gli immobili residenziali).
L’esposizione delle banche verso questo tipo di prestiti varia molto da paese a paese e può essere apprezzata nell’ultimo grafico qui sotto; in alcuni casi arriva a superare il 50% del totale dei prestiti del settore bancario alle imprese.
