LA POPOLAZIONE STRANIERA SI REDISTRIBUISCE IN MODO DISEGUALE FRA I PAESI EUROPEI

L’incidenza della popolazione straniera sulla popolazione totale residente nell’Unione Europea, al primo gennaio 2022, era pari all’8,5% della popolazione totale. In Italia tale percentuale è esattamente in linea con la media europea; infatti, anche nel nostro Paese la percentuale di stranieri residenti si aggira intorno all’8,5%. Tuttavia, fra i Paesi dell’UE esistono enormi differenze in termini di proporzione tra residenti stranieri e non. È il caso del Lussemburgo che conta il 47,1% di stranieri residenti sul territorio, una percentuale piuttosto elevata e diametralmente opposto rispetto ai dati della Lituania con solo lo 0,1%.


Popolazione straniera residente: livelli e incidenza percentuale nei 15 Paesi Ue con la maggiore presenza in termini assoluti di cittadini stranieri. Valori assoluti (scala di sinistra, chiave di ordinamento) e percentuale sulla popolazione residente (scala di destra) al 1° gennaio 2022. Fonte: XIII rapporto annuale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, a cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, elaborazioni.
Applicazioni Data Science – Direzione Studi e Ricerche di Anpal Servizi su dati EUROSTAT.

Nel gennaio 2023 la popolazione straniera residente in Italia era di circa 5 milioni. Un numero che tra il 2010 e il 2023 è cresciuto di 1,2 milioni, compensando solo parzialmente il drammatico calo demografico, che secondo l’Istat è destinato ad accentuarsi, della popolazione italiana, diminuita di 2 milioni negli ultimi 13 anni.

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COME SI DISTRIBUISCONO LE DIVERSE NAZIONALITÀ DEI LAVORATORI IMMIGRATI TRA SETTORI PRODUTTIVO IN ITALIA

Le caratteristiche dell’occupazione e le specializzazioni settoriali mostrano una notevole variabilità sulla base della nazionalità e dei lavoratori. Se guardiamo alle 10 cittadinanze più numerose (cfr. figura), notiamo, ad esempio, che fra i cinesi c’è una forte percentuale di lavoratori autonomi(43,2%), che i lavoratori bangladesi sono presenti soprattutto nel settore degli alberghi e ristorazione, che gli albanesi sono principalmente impiegati nelle costruzioni e nell’industria in senso stretto.

Caratteristiche dell’occupazione per principali cittadinanze straniere, Italia, composizioni percentuali, 2022. Fonte: Caritas, dossier statistico immigrazione 2023 su dati Istat
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SONO I LAVORATORI IMMIGRATI I PIÙ ESPOSTI ALLA PRECARIETÀ

Gli immigrati regolari in Italia sono occupati più dei lavoratori autoctoni con contratti atipici. Un terzo dei lavoratori stranieri ha un contratto non standard, a termine e/o in part-time involontario, a fronte del 19,6% degli italiani.

La quota di part-time involontario fra gli stranieri è pari al 17,9%, quasi il doppio rispetto agli italiani (9,4%), e coinvolge soprattutto le donne (27,9% le straniere e il 15,2% le italiane). Il part-time involontario coinvolge il 10,7% degli uomini stranieri e il 5,1% degli italiani. Mentre per gli italiani al crescere del livello di istruzione il part-time involontario diminuisce dal 12,0% per chi ha al massimo la licenza media al 5,9% per i laureati, per gli stranieri l’incidenza del part-time
involontario rimane quasi stabile, scende infatti solo dal 18,3% al 16,2%.

Gli immigrati sono impiegati con contratti temporanei più dei nativi: nel 2021 il 20% dei lavoratori immigrati (e il 13% dei nativi) aveva un contratto temporaneo. Anche negli altri paesi europei i contratti temporanei sono diffusi più fra gli immigrati che fra i nativi, ma, a differenza degli altri paesi UE, in Italia i contratti temporanei per gli immigrati sono in aumento (5 punti percentuali nell’ultimo decennio) mentre negli altri paesi UE la percentuale di contratti temporanei degli stranieri è in calo.

La condizione più sfavorevole riguarda le donne: oltre 40,7% delle straniere ha un contratto non standard rispetto al 26,3% delle italiane. La situazione è migliore fra gli uomini, ma il divario rispetto ai nativi rimane elevato: il 28,3% degli stranieri ha un contratto non standard rispetto al 14,8% degli italiani.

La situazione di precarietà degli stranieri nel mercato del lavoro si è manifestata chiaramente nel 2020 con la pandemia del Covid-19, quando il numero di occupati italiani è diminuito dell‘1,4% e quello degli stranieri del 6,4%.

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L’IMPORTANTE CONTRIBUTO DELL’IMMIGRAZIONE AL PIL NAZIONALE NONOSTANTE IL SISTEMATICO SOTTOUTILIZZO DELLE COMPETENZE DEGLI IMMIGRATI

Sono oltre 2,3 milioni gli occupati immigrati in Italia (10,3% del totale) e il lavoro degli immigrati contribuisce al PIL italiano per oltre il 9%, con picchi superiori al 14% in agricoltura e nell’edilizia.
Dopo la pandemia che ha penalizzato in particolar modo gli immigrati e, fra questi, soprattutto le donne, l’occupazione degli immigrati ha registrato una netta ripresa. Permangono tuttavia notevoli criticità.


L’Italia richiede soprattutto manodopera scarsamente qualificata”, infatti impiega lavoratori stranieri istruiti e qualificati in lavori dequalificati, penalizzando soprattutto (e pesantemente) le donne straniere. Gli immigrati con basso livello di istruzione hanno lavori mal retribuiti e precari, spesso stagionali. Gli immigrati con istruzione terziaria spesso vengono impiegati al di sotto del loro livello di qualifica. Il 33,1% degli stranieri svolge un lavoro che richiederebbe un livello d’istruzione più basso di quello posseduto a fronte del 25,2% degli italiani; in particolare la quota delle donne sovra istruite è del 42,2% contro il 26,5% delle italiane, mentre tra gli uomini i valori sono più vicini a quelli degli autoctoni: 26,6% di sovra istruiti fra gli stranieri contro il 24,2% fra gli italiani. In Italia, gli stranieri con istruzione terziaria hanno meno probabilità di essere occupati rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea. Nel 2021, il tasso di occupazione degli immigrati con istruzione terziaria è stato del 69%, ben 17 punti percentuali meno dei loro coetanei nativi, si tratta della più grande differenza all’interno dei paesi OCSE.

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Uniti per la solidarietà: l’Associazione Diritto al Futuro dona tre pc alla ONLUS Amici di Mujwa

Grande partecipazione alla raccolta fondi organizzata sabato 25 novembre dall’associazione Amici di Mujwa, l’ente del terzo settore che svolge attività in Kenya e si rivolge principalmente ai bambini cui vuole offrire maggiori opportunità di istruzione.

La nostra associazione è stata ospite presso la Pro Loco di Isolabella (TO) per partecipare alla cena solidale, una raccolta fondi che ha unito la solidarietà allo spirito conviviale. In tale occasione abbiamo donato tre pc alla onlus Amici di Mujwa.

Al fine di realizzare tutti quegli obiettivi che mirano al raggiungimento del benessere e dell’uguaglianza è fondamentale, per noi enti del terzo settore, unire le forze e lavorare insieme. Sabato abbiamo fatto un ulteriore piccolo passo in quella direzione.

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CRISI DELLA FABBRICA DEL MONDO?

Le tensioni geopolitiche tra USA e Cina hanno portato nel corso degli anni a una riduzione del peso delle importazioni in USA dalla Cina e un aumento del ruolo di altri paesi come Messico, India e Vietnam. La frammentazione della catena di fornitura potrebbe essere non una delocalizzazione, ma solo una ridefinizione della catena stessa con effetti su economia ed inflazione che dovranno essere compresi.

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FINE DELLA GLOBALIZZAZIONE?

La globalizzazione ha iniziato a rallentare già dalla crisi del 2008.
L’inasprimento delle tensioni geopolitiche, che hanno fatto seguito all’invasione dell’Ucraina, potrebbero rallentarne ulteriormente il passo con ulteriori effetti inflativi nel pianeta a seguito della frammentazione della catena di fornitura globale.

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LA RECESSIONE CHE SI FA ATTENDERE E I RISCHI DI FRAMMENTAZIONE DELLA CATENA DI FORNITURA GLOBALE

L’inflazione non tornerà al 2% prima del 2025: queste sono le nuove previsioni emerse nel corso dell’anno che hanno portato ad un progressivo rialzo dei tassi di interesse che potrebbero rimanere così ancora a lungo.

Nonostante questo, per ora, i principali istituti internazionali (FMI, OCSE e Banche Centrali) non prevedono che l’impatto sull’economia sia tale da provocare una recessione imminente, né ci siano evidenti segnali dello scoppio di una qualche bolla finanziaria.

I fattori che avevano portato all’impennata dell’inflazione tra il 2021 e il 2022 si sono ormai in buona parte smorzati, altri invece potrebbero essere responsabili del suo perdurare negli anni a venire, come la transazione energetica e la frammentazione della catena globale di fornitura a seguito dell’inasprirsi delle tensioni geopolitiche.

Se i Brics non sono un’alleanza politica sono sicuramente la prova della crescita del peso politico di paesi come la Cina e l’India. Infatti, è proprio la Cina che si candida ad essere il principale antagonista dell’egemonia Usa, nonostante nell’anno in corso stia andando incontro a diverse difficoltà sul versante economico.

Tra le cause figura l’inasprirsi della crisi immobiliare e, per questo motivo, la linea adottata è quella di una politica monetaria opposta a quella delle economie avanzate, abbassando i tassi di interesse e fornendo supporto monetario alle banche.

L’economia americana sta crescendo ad un ritmo inatteso, ma anche al costo di un debito pubblico che è salito ai massimi storici e continuerà con buona probabilità a salire nei prossimi anni.

Tale situazione solleva alcune riflessioni sulla possibile crescita del ruolo degli Stati nel prossimo futuro, ma anche sulla sostenibilità e sugli effetti dell’ulteriore crescita del loro indebitamento.

Maggiori approfondimenti sono contenuti nel report n° 16 sullo scenario di finanza internazionale:

https://www.dirittofuturo.org/?page_id=137

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