Il grafico mostra l’evoluzione delle esportazioni di carburante dalla Russia all’India (in giallo) e in parallelo la crescita della quota esportata verso l’Europa.
Se le tensioni geopolitiche sembrano poter portare a una frammentazione delle catene di forniture, è altrettanto vero che i processi di approvvigionamento potranno mutare molto lentamente e non sono facilmente controllabili.
IL REALE POTERE D’ACQUISTO DEI BRICS SUL MERCATO INTERNAZIONALE
Se il prodotto interno lordo dei BRICS a parità di potere di acquisto, cioè ignorando l’effetto del cambio valutario, era già superiore a quello dei paesi del G7, nel momento in cui si considera l’effetto del cambio, e quindi il reale potere di acquisto dei paesi sul mercato internazionale, la quota dei BRICS è del 30% del Pil mondiale che equivalgono a circa 30.000 miliardi di dollari.
Di molto inferiore al PIL dei paesi del G7 che è di circa 47.000.
LO SQUILIBRIO DELLA CINA TRA CONSUMI E INVESTIMENTI
Il modello di crescita cinese, a partire dagli anni 90, ha visto il predominio del peso degli investimenti che va di pari passo con una forte componente di risparmio delle famiglie. In figura si veda l’enorme differenza del peso di questa voce (a destra) rispetto ad altre economie e il peso dei consumi (a sinistra).
Il settore delle infrastrutture e quello immobiliare hanno trainato la crescita di un paese che da una condizione di quasi sottosviluppo e con elevati tassi di povertà è arrivato ad essere la seconda potenza economica mondiale. Ora però questo modello, per stessa ammissione dei dirigenti del partito comunista, è destinato a subire una evoluzione con una crescita del peso della componente dei consumi a discapito di quella degli investimenti e con molta probabilità di quello delle esportazioni. Nello stesso tempo gli investimenti dovranno essere più orientati verso il settore delle tecnologie e meno su quello delle infrastrutture ed immobiliare, spesso utilizzati sino ad oggi per raggiungere gli obiettivi dei piani quinquennali delle province (per “fare punti di PIL”) più che per creare vero valore aggiunto e quindi a discapito della produttività degli investimenti stessi.
Se la crisi del settore immobiliare spaventa per il peso che il settore ha sul PIL, una diminuzione (ma senza traumi) della sua importanza relativa è nell’ordine delle cose, a vantaggio dei consumi in un paese che per il secondo anno è in calo demografico.
LA CONSEGUENZE DELLA CRISI IMMOBILIARE CINESE
I bond emessi dalle aziende del settore costruzioni in Cina sono letteralmente crollati negli ultimi due anni. È lo specchio di una crisi che iniziata dall’operatore Evergrande, si è estesa a tutto il settore immobiliare che contribuisce a quasi il 30% del PIL del paese.
La crisi è stata favorita anche dalle azioni dello stesso governo che aveva posto limiti alle possibilità di indebitamento dei costruttori, facendo scoppiare le contraddizioni di questo modello di crescita che ormai, peraltro, era entrato in contrasto con le stesse strategie del Partito Comunista per la crescita futura.
LA DISCESA DEL MERCATO AZIONARIO CINESE E LA SFIDUCIA DEGLI INVESTITORI
L’indice China A50, che racchiude i principali 50 titoli scambiati alla Borsa di Shanghai, si trova ai livelli del 2008. La discesa del mercato azionario cinese dura ormai da oltre tre anni e va di pario passo con la crisi del settore immobiliare e la scarsa fiducia degli investitori dopo gli interventi avvenuti negli ultimi anni dalle autorità governative verso alcune aziende quotate, non ultimo il gruppo Alibaba, guidato da Jack Ma.
IL RUOLO DEGLI STATI NELLA RECESSIONE POST COVID
Un contributo fondamentale nell’uscita dalla recessione più breve della storia (quella post-covid) e al fatto che nonostante i tassi elevati, la massa di debito in circolazione e le riduzioni di bilancio delle banche centrali in corso, ci si trovi al momento in una situazione di relativa calma economia e finanziaria, è stato quello degli stati.
Se non si dà uno sguardo sia al debito accumulato in questi anni sia alla spesa dei governi, è difficile comprendere in pieno quello che sta succedendo e quello che potrebbe succedere nei prossimi anni.
Il ruolo degli stati nelle economie avanzate se è sicuramente importante per comprendere quanto è avvenuto, anche in termini di inflazione, può esserlo anche per comprendere ciò che potrebbe avvenire in futuro. La conversione energetica da un lato e una crescita delle tensioni geopolitiche dall’altro potrebbero far avere agli stati un maggior ruolo di quello che avevano avuto negli ultimi decenni.
Però, a meno di non ipotizzare nei prossimi anni una crescita dei PIL delle economie avanzate che non ha precedenti, questo implicherebbe un maggior peso del debito e quindi con tutta probabilità una crescita dei tassi di interesse, che potrebbe essere sostenibile solo a fronte di una inflazione sufficientemente elevata e tale da portare i rendimenti reali di nuovo in territorio negativo, così come è stato dagli anni ’80 sino a pochi mesi fa
Nelle figure sopra l’andamento del rapporto tra il debito e il PIL nell’Eurozona e negli Stati Uniti. Si noti la crescita a seguito della pandemia di Covid che solo in Europa è stata parzialmente riassorbita.
L’ESPLOSIONE DELLA SPESA DEL GOVERNO IN USA
l rapporto tra spesa del governo e PIL negli ultimi 3 anni è esploso in tutte le economie avanzate.
Negli USA non era così elevato dalla Seconda guerra mondiale. Non si può prescindere dall’intervento degli Stati e dalla politica fiscale per comprendere ciò che è avvenuto in questi ultimi anni e non solo sul fronte dell’inflazione. La crescita del ruolo dell’intervento dei governi dovrà venire a patti con la sostenibilità della crescita del loro debito.
LA CRESCITA DEL DEBITO AMERICANO SARA’ ANCORA SOSTENIBILE?
Secondo uno studio del CBO (congressional budget office), un organo bipartisan del Congresso degli Stati Uniti, le proiezioni di lungo periodo del debito degli Stati Uniti sono per il raggiungimento, nel 2053, di un rapporto tra debito e PIL superiore al 180%.
Si noti nella figura l’andamento del deficit causato dal pagamento degli interessi (in azzurro: Net interest outlays, che sarebbe eguale al 6,3% del PIL) favorito da una probabile crescita dei tassi nei prossimi anni, sia per il rischio inflazione sia per effetto del probabile indebolimento del rating del paese a seguito della crescita del debito stesso.
LE CONSEGUENZE DELLA CRISI IMMOBILIARE CINESE
La crisi dell’immobiliare dura ormai in Cina da quasi 3 anni. Partita dall’operatore Evergrande, si è estesa a tutto il settore. Gli effetti delle difficoltà di un settore che pesa per quasi il 30% del PIL del paese si sono avuti anche sui prezzi delle abitazioni che sono in discesa dal 2021.
La crisi è stata favorita anche dalle azioni dello stesso governo che aveva posto limiti alle possibilità di indebitamento dei costruttori, facendo scoppiare le contraddizioni di questo modello di crescita che ormai, peraltro, era entrato in contrasto con le stesse strategie del Partito Comunista per la crescita futura.
GLI IMMIGRATI VERSANO AL FISCO PIÙ DI QUANTO RICEVONO DALLO STATO ITALIANO IN TERMINI DI SERVIZI E WELFARE
Il reddito pro-capite degli immigrati è nettamente inferiore a quello degli italiani. Tuttavia, secondo i calcoli della Fondazione Leone Moressa relativi al 2021, il saldo fiscale della popolazione immigrata è positivo e pari a 1,8 miliardi. Gli immigrati, infatti, sono mediamente più giovani degli italiani e hanno un basso impatto sulle principali voci di spesa dello Stato, come sanità e pensioni.